PSICOLOGO PSICOTERAPEUTA

Dott. Alessandro Federico Amo

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Negli ultimi anni la ricerca in ambito neuroscientifico e neurobiologico ha influenzato molto l’ambito della psicologia e della psicoterapia. Il miglioramento della comprensione del funzionamento cerebrale, delle attivazioni elettro-chimiche e circuitali, ha permesso di sostenere la valenza del lavoro psicoterapico e dei cambiamenti che produce. Sappiamo infatti che una delle caratteristiche del cervello è quello di essere plastico, dotato cioè della capacità di mutare e modellarsi in base alle nostre esperienze nell’ambiente. L’apprendimento svolge quindi una funzione importante nella strutturazione cerebrale, abbiamo infatti la possibilità di aumentare o modificare i collegamenti sinaptici del nostro cervello, cambiare quindi la rappresentazione di noi stessi e delle relazioni che abbiamo con il mondo circostante. Attraverso l’esperienza che facciamo del mondo, momenti di apprendimento o di lavoro su di sé, come può essere la psicoterapia, non andiamo a cambiare la sequenza di un gene del DNA ma può essere modificata la funzione trascrizionale del gene, cioè la capacità di produzione di particolari proteine. Ciò è influenzato da specifici fattori ambientali, da eventi di vita che possono andare ad incidere sul lungo termine sulla nostra attivazione cerebrale (Kandel, 1998).
Alcuni studi hanno mostrato come la psicoterapia possa andare a modificare la diffusione neurotrasmettitoriale del nostro cervello, il movimento e la trasmissione di particolari molecole che hanno una grande importanza nel regolare diversi aspetti della nostra vita, dall’umore al ritmo sonno-veglia per esempio. Andare ad ampliare, per esempio, la densità di un particolare recettore serotoninergico (Karlsson et al., 2013) ha un grande impatto sulla vita di una persona, in particolare lo studio mostra sotto un punto di vista sociale e lavorativo.
Un altro aspetto importante da valutare è l’efficacia che gli studi mostrano dell’interazione tra psicoterapia e farmacoterapia. In determinate condizioni di disagio psichico, la combinazione di farmaco e psicoterapia è considerata come l’intervento di maggior efficacia nella risoluzione dei sintomi, a breve e a lungo termine. Nello studio di Goldapple (2004), per esempio, viene mostrato come il trattamento con un farmaco antidepressivo andasse ad agire a livello metabolico attraverso l’aumento dell’attività della corteccia prefrontale e una diminuzione dell’attività a livello del tronco cerebrale. I pazienti trattati con la psicoterapia avevano invece un aumento dell’attività metabolica a livello di determinate regioni sottocorticali, come l’ippocampo e il cingolato anteriore, e una diminuzione in alcune regioni della corteccia frontale. Questo studio indica come il farmaco e la psicoterapia in questione agissero attraverso vie diverse, andando a modificare sistemi di comunicazione elettrochimica deputati a diverse funzioni, attraverso un meccanismo “bottom-up” per la psicoterapia e “top-down” per il farmaco.
Un ultimo punto di questo breve scritto appare importante sottolineare. Per quanto sia ormai chiaro come l’attività mentale sia inscindibile dall’attività cerebrale, è importante sottolineare la centralità del significato che il soggetto dà alla sua esperienza e la modalità con cui il singolo individuo interpreta la realtà. Vi è quindi da porre una differenza tra la causa di un determinato problema psicologico, che ha sempre componenti biologiche, psicologiche e sociali, e il significato che il soggetto può darvi. Vi possono essere conflitti interni del soggetto che si esprimono attraverso sintomi biologici, per cui i sintomi si possono considerare come l’espressione stessa di questi conflitti. Le allucinazioni di una persona che soffre di schizofrenia, per esempio, sappiamo essere veicolate da alterazioni a livello neurotrasmettitoriale, ma, nell’espressione delle allucinazioni, spesso si possono notare analogie con elementi conflittuali del soggetto, nuclei densi di significato, che veicolano un messaggio irriducibile all’elemento neurobiologico, e che quindi devono essere trattati come aventi un particolare significato soggettivo.

Bibliografia:

Kandel, E. R. (1998). A new intellectual framework for psychiatry. American journal of psychiatry, 155(4), 457-469.

Karlsson, H., Hirvonen, J., Salminen, J., & Hietala, J. (2013). Increased serotonin receptor 1A binding in major depressive disorder after psychotherapy, but not after SSRI pharmacotherapy, is related to improved social functioning capacity. Psychotherapy and psychosomatics, 82(4), 260.

Goldapple, K., Segal, Z., Garson, C., Lau, M., Bieling, P., Kennedy, S., & Mayberg, H. (2004). Modulation of cortical-limbic pathways in major depression: treatment-specific effects of cognitive behavior therapy. Archives of general psychiatry, 61(1), 34-41.

Gabbard, G. O. (2014). Psychodynamic psychiatry in clinical practice. American Psychiatric Pub.